La chiesa di Caneva

L’ARTE

 

 

La chiesa di Caneva

 

Le notizie più antiche che si posseggono su una chiesetta esistente nell'abitato di Caneva risalgono al 20 novembre 1602. Sono tolte da un prezioso manoscritto esistente nella Curia Arcivescovile di Udine contenente le relazioni della prima grande visita Pastorale compiuta in tutta la Carnia dopo il Concilio di Trento, che riordinò tutta la disciplina ecclesiastica.

Tale visita pastorale venne eseguita nel giorno di mercoledì 20 novembre 1302 dal Canonico Agostino Bruno, Vicario Generale del 90° Patriarca di Aquileia, Francesco Barbaro, veneto.

In tale relazione è detto che era lunga circa otto passi, larga tre e alta quattro passi, ben pavimentata e che riceveva luce conveniente da finestre di vetro chiuse a grata.

Al lato sinistro dell'uscita c'era una torre campanaria discretamente alta, acuminata e ben costruita, con una croce di ferro e due campane. Aveva un altare di pietra abbastanza ampio ed alto, con immagini di legno scolpite in oro fra cui quella della Beata Vergine e di S. Nicolo titolare della chiesa.

 Davanti a questo altare pendeva dal soffitto, coperto di tavole (tabullatum), una lampada di rame che si accendeva solo di notte. Era senza sacrestia, tanto che i paramenti si dovevano conservare in altra chiesa. Non si conservava il Santissimo, non c'era il battistero, non il cimitero, per cui per i battesimi, Comunioni, sepolture, si doveva andare alla Pieve di S. Maria oltre Bût.

È detto ancora in tale documento che il paese era spesso soggetto a inondazioni, causate dallo straripamento del Rio «Dardagna»... che scorre alla distanza «di due tiri di sasso» .

 La parte bassa della chiesa era assai umida ed il Visitatore potè vedere i segni del fango portatovi da uno straripamento avvenuto poco prima.

Riportandoci al rammentato manoscritto, anche le suppellettili della piccola chiesa dovevano essere poche e misere e neppure l'arte tanto bene rappresentata, se si toglie l'altare di pietra con le descritte statue dì legno certamente uscite dalle scuole degli insigni maestri tolmezzini, altare la cui fine è ancora incerta.

Tale chiesa era costruita poco lontana dall'attuale, all'ingresso orientale della piazza più grande del paese. L'esistenza del pavimento della chiesa è stato accertato di recente, alla profondità di circa un metro, in occasione di scavi effettuati per il passaggio delle nuove tubature d'acqua.

Come appare evidente si trattava di una piccola e povera chiesa, ritenuta quindi inadeguata alle necessità del culto della popolazione, ormai in via di aumento.

Ma dall'epoca della rammentata Visita Pastorale del canonico Agostino Bruno, dovevano trascorrere più di 160 anni prima che si pensasse alla costruzione di altra chiesa più ampia e più decorosa, quella attuale

Già nel 1764 (24 giugno). in occasione della visita fatta da Mons. Antonio Tavagnacco, Canonico del Duomo di Udine. in documenti esistenti sempre presso la Curia Arcivescovile, è detto che  è in corso la fabbrica della nuova chiesa.

Infine in un'altra nota del 10 luglio 1769 è precisato: «Caneva, posta in piano, tra il mezzogiorno e ponente della Pieve Matrice, ha una sola chiesa, la quale è prossima ad essere demolita, perché è sull'essere compiuta una nuova eretta dalle fondamenta...». E nella serratura in ferro della porta d'ingresso minore è stato rilevata, da poco, la data «1769 14 M» (14 marzo o maggio 1769).

L'anno 1770 la nuova chiesa era terminata: ed è l'attuale chiesa bella e perfetta nelle sue lìnee architettoniche, quasi rinascimentali.

Si può pensare che circa otto anni abbia durato la costruzione.

 

Per quanto non si abbiano documenti, l'attuale chiesa di Caneva è senz'altro opera del protomastro Domenico Schiavi di Tolmezzo (1718-1795), ideatore del Duomo di Tolmezzo, completato nell'anno 1763 e consacrato dall'Arcivescovo Bartolomeo Gradenigo la domenica 8 luglio 1764.

La chiesa di Caneva ripete, in proporzioni ridotte, l'identica struttura del Duomo di Tolmezzo. Si pensa che la sua costruzione sia stata iniziata nel 1763 a compimento avvenuto del Duomo di Tolmezzo.

Dalla data di costruzione e per oltre un secolo e mezzo, la chiesa non subì danneggiamenti e manomissioni di sorta. Però non risulta sia stata consacrata. Ma nelle infauste giornate del 27 e 28 marzo 1928, due violente scosse di terremoto rovinarono seriamente la costruzione. È stata demolita ma poi sostituita anche l'intera cella campanaria.

In seguito agli aiuti governativi predisposti per la zona terremotata, nel 1934 la chiesa vide la propria rinascita mercè la ferma volontà della popolazione e l'opera infaticabile dell'allora vicario don Luigi Calligaro (') immaturamente scomparso e del cav. ing. Federico Rinoldi, allora sindaco di Tolmezzo.

In seguito alle citate demolizioni sì sono perduti completamente tutti i buoni affreschi dell'abside, affreschi sostituiti soltanto nel I960 con quelli del prof.Renzo Tubaro  La sobria decorazione è stata invece eseguita dai fratelli Vincenzo e Giovanni D'Aronco di Caneva.

 

Notizie Artistiche

 

Fino al 1924 nell'attuale chiesa esisteva un altare completamente in legno intagliato e dorato con relativo riquadro di Santi sistemato direttamente sull'abside, oltre l'altare, il tutto venduto ad alcuni antiquari veneziani, per dar posto all'attuale. Questo altare e stato inaugurato il 21 novembre 1925, in occasione della festa della Madonna della Salute.

Due anni prima si inaugurò la nuova statua della Madonna in legno, opera moderna della Comunità artigiana di S. Ulrico in Groeden (Val Gardena).

 Successivamente l'altare, nel 1936, è stato completato con una pala raffigurante la Vergine in trono, attorniata da S. Nicolo e S. Bartolomeo, opera del pittore Giuseppe Moro (1877-1949).

Unici del genere nelle nostre chiese sono i due altari laterali completamente in legno con interessanti giochi prospettici, altari che meritano dì essere conservati.

Delle due pale di tali altari, soltanto una presenta un certo valore artistico: quella raffigurante il Crocifisso, originariamente situata nell'altare di sinistra, probabilmente opera dello Schiavi. (Tolmezzo 1736-1783).

 

Antonio Schiavi operò fra l'altro anche nella Chiesa della Carità di Udine, in quella di S, Paolo di Illegio (i cui affreschi sono stati ritoccati da uno sconsiderato imbianchino) e nelle parrocchiali dì Villa dì Verzegnis e di Paularo.

 Di lui si conservano inoltre una Annunciazione nella facciata di una casa patrizia di Tolmezzo e tre quadretti in quel Museo (Noè salvato dalle acque, Rachele e Sodoma e Gomorra) provenienti da Paularo.

Fino al 1928 la Chiesa era decorata limitatamente alla parte absidale. Un tiepolesco movimento di angeli musicanti copriva l'intera sommità, mentre ai quattro lati spiccavano i quattro Evangelisti con i propri segni particolari concepiti con elegante bravura pittorica. Anche nei due riquadri laterali del coro trovavano posto due rappresentazioni raffiguranti una il martirio di S. Bartolomeo e l'altra S. Nicolo, successivi ai restanti affreschi, ma privi di interesse artistico.

Nella lunetta soprastante l'altare spiccava una Orazione di Cristo nell'Orto, egregiamente disegnata e di bell'effetto.

Ora, considerato che l'architetto e protomastro Domenico Schiavi, costruttore della chiesa come si è detto, era fratello di Antonio Schiavi, pittore, si potrebbe arguire con una certa esattezza che anche gli affreschi superiori dell'abside siano stati opera di Antonio Schiavi.

Malauguratamente tutti questi affreschi sono andati completamente distrutti e dispersi con la parziale demolizione del corpo della Chiesa dopo il terremoto del 1928.

Come da accenno precedente, tutti questi affreschi furono sostituiti, nel 1960 ad opera del pittore prof. Renzo Tubaro il quale pur rifacendosì a malincuore al tema della tecnica tiepo-lesca delle precedenti opere adatte allo stile della chiesa, ha ridato all'abside l'antico splendore con una serie movimentata di angeli musicanti ben intonati e fusi in moderna scala cromatica.

Del pari sono stati rifatti i quattro Evangelisti e la lunetta inserendovi una Deposizione forte di colore e di effetto.

Frattanto, in sordina, un'altra opera d'arte è venuta a impreziosire la Chiesa: la «Via Crucis» dello scultore Antonio Franzolini (Povoletto 30-8-1889 - Udine 7-7-1963) in terracotta, feli-cemente modellata e che bene s'intona allo stile imposto. Questa «Via Crucis» è stata solennemente benedetta e inaugurata il 1 aprile 1962 da Fr. Benvenuto Grava o.f.m.. Superiore del Convento di S. Antonio di Gemona.

Caratteristico e non comune nella sua linea romanica è il campanile con un concerto di campane fuse dalla ditta Donato Bastanzetti di Arezzo, installate e inaugurate nel secondo semestre del 1925. Tali bronzi sostituiscono quelli abbattuti e distrutti durante l'anno dell'invasione nemica del 1918.